Per correre ci vuole cervello. Lo dice la neuroscienza
Chi ha detto che per correre non occorra pensare? Uno studio recente pubblicato sull’autorevole piattaforma accademica online Frontiers dimostra il contrario.
Chi ha detto che per correre non occorra cervello? Un recente studio scientifico pubblicato sulla piattaforma Frontiers in Human Neuroscience e ripreso dal New York Times conferma quello che le neuroscienze hanno già dimostrato per altri sport: correre sembra richiedere grandi capacità cognitive a differenza di quanto siamo sempre stati abituati a pensare.
La leggenda popolare
Molte persone cominciano a correre nel tempo libero con qualche indugio su come muovere un piede dopo l’altro all’inizio, acquisendo maggiore scioltezza con l’allenamento. In sostanza, con la pratica costante della corsa saremmo portati a smettere di pensare a come stiamo correndo, almeno in maniera consapevole.
L’esperimento
Per testare quest’idea “in laboratorio”, i ricercatori coinvolti nello studio sopraccitato hanno reclutato 11 runner attivi e 11 uomini in età giovane che non correvano da tempo. Hanno poi sottoposto ciascuno di loro a uno scanner M.I.R per la durata di sei minuti mentre la macchina misurava il livello di attività del loro cervello.
Gli studiosi hanno prestato particolare attenzione al coordinamento tra le diverse parti del cervello, reso evidente dal fatto che alcune aree si illuminavano simultaneamente in modi simili.
Il risultato
Ne è risultato che il cervello dei runner presentava un numero diverso di connessioni rispetto a quello degli inattivi e che queste connessioni riguardassero aree che, a loro volta, richiedono una grande capacità cognitiva per funzionare.
Quali sarebbero queste aree? Quelle legate al funzionamento della memoria, la capacità di prendere decisioni, la capacità di svolgere più attività in contemporanea, l’attenzione e la capacità di processare informazioni di tipo visuale e sensoriale.
In poche parole, il cervello di chi correva sembrava essere dotato di maggiori capacità cognitive come l’essere multitasking o la concentrazione rispetto ai giovani uomini con uno stile di vita sedentario.
È evidente che questo tipo di studi non possa dimostrare che correre sia la causa di differenze nella capacità degli uomini di pensare, ma solo che chi corre è accomunato da certe strutture mentali che consentono di rispondere ad una serie di bisogni e stimoli complessi come: monitorare e reagire all’ambiente circostante, destreggiarsi tra il ricordo di corse passate e le condizioni presenti, mentre si continuano tutte le attività di tipo motorio legate alla corsa che, di per loro, non sono facili da gestire.
Dunque, se siete dei runner, ora sapete cosa rispondere a chi vi dice che a correre non ci vuol niente e che basta andare. Per correre ci vuole cervello!