Nicolas: il calciatore
Giovane calciatore con un talento che lo avrebbe portato negli stadi di serie A. Poi un grave infortunio e una lunga pausa hanno infranto i sogni, ma non la passione e la voglia di vincere, anche se in campi di serie minori.
Una storia di passione che viene dal passato e determinazione nel presente che lo stesso protagonista ci racconta in questa intervista.
Nicolas e il calcio. Qual è la prima immagine che ti compare davanti agli occhi?
Quello con il calcio è un vero e proprio amore. Un amore nato nelle vie del mio paese dove con gli amici ci trovavamo dopo la scuola: scendevamo tutti per strada con un pallone in mano e si tirava fino a sera senza nemmeno rendercene conto, senza paura di niente e di nessuno, ma con una grande passione in comune.
Quando hai capito che avevi un talento per il calcio?
Il mio primo anno di pallone ebbi delle difficoltà perché ero molto più piccolo rispetto ai miei compagni. Con il tempo conquistai il ruolo di difensore centrale riuscendo a segnare 35 goal in un campionato, traguardo sorprendente per il ruolo che ricoprivo.
Qual è un momento della tua vita calcistica degli esordi che non potrai mai dimenticare?
Sicuramente il giorno in cui il mio allenatore del Turano mi chiamò dicendomi di prepararmi per un provino nelle giovanili del Milan.
Che emozioni provi quando fai goal? E come vivi le sconfitte?
Oltre alla soddisfazione personale, quando faccio goal amo vedere cosa succede fuori dal campo. In fondo l’esultanza dei tifosi e dei compagni è la migliore ricompensa. Mentre le sconfitte cerco di viverle in disparte, in silenzio, aspettando l’arrivo della partita successiva, per riscattare me stesso e la squadra e migliorare il risultato.
Cosa ti ha fatto soffrire di più nel periodo in cui sei rimasto fermo?
Quando ero infortunato la sofferenza maggiore, oltre al dolore fisico, è stata vedere crollare tutto ciò che ero riuscito a creare fino ad allora.
Raccontaci del momento in cui sei tornato in campo dopo l’infortunio. Quali le tue sensazioni?
Ricordo perfettamente quando, dopo uno stop di due anni, il mister mi chiese se me la sentivo di entrare in campo a 20 minuti dalla fine di una partita. Ovviamente risposi di sì. Quando entrai ricevetti l’applauso generale dei genitori dei miei compagni, ma ciò che mi rese più felice fu vedere mio padre sugli spalti a esultare, incitandomi a sconfiggere la paura per tutto ciò che avevo passato.
Cosa ti spinge a continuare a giocare?
Al di là del dolore fisico, delle paure e delle falsità del calcio del giorno d’oggi, ciò che mi spinge di più a giocare tuttora sono i valori acquisti in quelle vie del paese, dove mi ritrovavo da piccolo con i miei compagni.
Cosa significa oggi il calcio per te, sia da giocatore sia da spettatore?
Il calcio per me, da giocatore, oggi significa sacrifici, divertimento, passione e amicizie che durano nel tempo. Da spettatore invece c’è una grande amarezza per non essere arrivato ai livelli che avrei potuto a causa dell’infortunio.
Credi di essere una persona determinata nella vita?
Forse non sta a me a dirlo. A conclusione di tutto, nonostante le sconfitte e i dispiaceri passati, penso di esserlo. Essere tornato a giocare dopo l’infortunio ha fatto sì che diventassi una persona più forte e decisa.